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Simonluca Perfetto,

Primo nucleo di fonti sulla zecca sveva di Napoli

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1Molto recentemente, nel tentativo di riallacciare le ultime dinamiche normanne e quelle svevo-enriciane al periodo svevo più famoso (1198-1250), è stata illustrata per sommi capi l’attività della zecca di Napoli al tempo di Federico II, attraverso una ricerca che, tra le altre cose, ha documentato l’esistenza della zecca nel primo periodo angioino, in qualità di officina monetaria distinta da quella di nuova istituzione a Castel Capuano, atelier che in passato tutti hanno trattato come unica, prima e nuova sede1.

2Ancor più recentemente sono state documentate la coniazione di argento sul finire del Ducato napoletano (1134-1140) e la nuova coniazione argentea di Ruggero II a Napoli (a partire dal 1140)2, a mezzo di uno studio che ha fatto il paio con altra ricerca che, a sua volta, ha documentato l’estesa coniazione di fiorini e ducati veneziani a Napoli in epoca angioina3.

3Rebus sic stantibus, la storia ci narra che, salvo brevissime parentesi, si verificò la sostanziale continuità operativa della zecca partenopea dal VI secolo al 1867 e, a tratti più o meno lunghi, si manifestò la sua natura dualistica. Tale dualismo fu davvero assortito, poiché riguardò :

  • la contemporanea coniazione di diverse tipologie monetali (locali ed esterne contemporaneamente : es. gigliati locali e fiorini di Firenze o follari locali e denari lucchesi, etc.) ;

  • il titolo per cui a Napoli si batteva moneta (da civitas o per ordine dell’imperatore; da zecca del re o per ordine della Repubblica fiorentina, etc.) ;

  • la sede di zecca (Palazzo di Pietro delle Vigne e Castel Capuano, contemporaneamente ; Sant’Agostino e Castelnuovo, etc.).

4Prima di procedere, vale la pena di proporre l’aggiornamento delle sedi di zecca all’interno di Napoli. La posizione dei luoghi di zecca, segnati sulla mappa del 1615 incisa da Beauvau, è meramente indicativa. In particolare, non è precisamente collocabile la sede n. 7 nell’ambito di Castelnuovo4. Si ricorda, infatti, che questa fortezza era in grado di racchiudere in scala ridotta lo Stato napoletano, poiché vi esistevano un archivio, la tesoreria, le stanze del re e di alcuni ufficiali di massima importanza, le prigioni, etc. e, non ultima, poteva sussistere la possibilità di battere moneta. Pertanto, la collocazione di una zecca in diverse aree del castello ne poteva connotare anche la funzione, aspetto che invita a distinguerle attentamente e non a collocarle genericamente a Castelnuovo.

Fig. 1 - Mappa provvisoria delle sedi di zecca all’interno di Napoli

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  1. S.Mariae ad monetam, Rione Portanuova - zona San Marcellino (da prima del 763 al 1127 almeno) ;

  2. Palazzo di Pier Delle Vigne, nei pressi di Capo di Piazza, poi detta zona della Selleria (dal 1229 o prima?-agosto1280/novembre 1280-1325) ;

  3. Castel Capuano, per i nuovi carlini d’oro e d’argento (18 aprile 1278-1285) ;

  4. Pietra del Pesce, presso Borgo degli Orefici (settembre/ottobre 1280) ;

  5. Casa di Ettore Vulcano, Porta Petruccia nei pressi di Santa Maria La Nova (1325-1333) ;

  6. Edificio di Adinolfo e Nicola Di Somma, sito di fronte a Sant’Agostino Maggiore (dal 1333 alla chiusura della zecca) ;

  7. Castelnuovo, imprecisata camera del castello, dove era detenuto Luis Ram (1542) ;

  8. Castelnuovo, Torre dell’Oro (occasionalmente, ma certamente tra il 1554 e il 1556).

5La zecca di Napoli si sviluppò fortemente in epoca sveva, conseguendo la possibilità di battere oro, ottenendo l’equiparazione dei propri ufficiali a quelli di Brindisi e Messina e giovandosi della chiusura di zecche concorrenti come quelle di Salerno e Amalfi. Di tali benefici avrebbe continuato a godere durante le successive dominazioni angioine e aragonesi, affermandosi come zecca internazionale.

6Al fine di evitare, quindi, che si proseguano gli studi nella paradossale assenza di questa importante zecca sveva, che nel quadro regnicolo svolgeva un ruolo diverso da quelle di Brindisi e Messina, è sembrato utile approntare un primo corpus di documenti che la riguardano. Quest’ultimo, oltre a contenere le fonti già usate nel primo studio del genere, ne annovera altre quattro, per un totale di dodici. Queste dodici fonti comportano anche varie notizie collaterali. Al § 13, invece, si propone una riflessione, piuttosto che una fonte.

Fig. 2

Notizie principali ricavabili dalla fonte

Fonti

1. Privilegio di battere argento concesso da Tancredi (1190-1220)

Capasso, Il Pactum giurato

2. Siclae Magister (1200)

Ammira+to, BNCF, Palatini 988, voll. I-II

3. Abolizione dei privilegi di Tancredi (1220)

Ryccardi de Sancto Germano, Chronica

4. Equiparazione degli ufficiali della zecca di Napoli a quelli di Brindisi e Messina (1221-1227)

Monti, La zecca di Napoli

5. Sede di zecca nel Palazzo di Pietro delle Vigne e alla Pietra del Pesce (1220-1249)

Capasso, Sulla Casa di Pietro

6. Raccolta di metallo da coniare a Napoli (1229)

Ryccardi de Sancto Germano, Chronica

7. Coniazione e quantitativo di moneta coniata (1229)

Loise de Rosa, Ricordi

8. Tipologia di moneta coniata (1229)

Loise de Rosa, Ricordi

9. Coniazione e tipologia di moneta coniata (1229)

Joannis Trithemij, Tomus Primus Annalium Hirsavgiensium

10. Un ufficiale della zecca sveva di Napoli? (1232)

Napoli, Società Napoletana di Storia Patria (d’ora in poi SNSP), XXVII, b. 17, Catasto di S. Pietro a Castello

11. Zecca, ufficiali e tipologia di moneta coniata (1238)

Winkelmann, Acta Imperii Inedita, I

12. Tipologia di moneta coniata (1243)

Lami, Sanctae ecclesiae

1. Privilegio di battere argento concesso da Tancredi (1190-1220)

Privilegium concessum Civibus neapolitanis per Gloriosissimum dominum nostrum Tancredum Regem Sicilie repertum in domo Riccardi passarelli de Neap.

In nomine Dei eterni et salvatoris nostri Jehu xpi. Amen. Tandredo (sic) divina favente Clementia Rex Sicilie dicatus (sic) Apulie et principatus (Capue). A conspectu benignissimi Regis non nisi letus deprecator recessit nec liberalitatis Regine (sic) frustra fores pulsavit. Cuius desideria equitatis ratio non deserit de ipso siquidem secula digna cum (sic) eum relacione locuntur eius (cuius?) ab hominibus dominacio merito colitur et amatur. […]

Insuper hec ex nostra concessione ut quicunque de concivibus neap. voluerit esse miles liceat ei. liceat etiam Civitatem facere monetam argenti per se. Propterea de solita benignitate nostra concedimus et confirmamus vobis omnia que acquisivistis post decessum predicti domini Regis dicti patris nostri felicis memorie videlicet. […]

ad huius autem concessionis et confirmationis nostre memoriam in perpetuum robur. presens privilegium nostrum per manum Parmenisii notarii et tidelis nostri scribi et bulla plumbea nostro cippario pressa (typario impressa) iussimus roborari anno mense et indictione subscriptis. Data in urbe felici Panormi per manus Mathei Regii Cancellarii Anno Dominice Incarnationis Millesimo Centesimo nonagesimo mense Iunii octave Indictionis Regni vero domini nostri Tranchedi (sic) dei gratia magnifici et gloriosissimi Regis Sicilie ducatus Apulie et principatus capue anno primo feliciter. Amen5.

7Grazie a questo privilegio, sappiamo che la città di Napoli, a partire dal 1190, poteva produrre moneta d’argento per sé. Ciò non vuol dire che il sovrano non potesse coniare quivi moneta propria con altri metalli. La facoltà di battere moneta era comunque prerogativa regia, in qualsiasi luogo, in quanto i diritti legati alle emissioni del sovrano prescindevano dal carattere della territorialità. La fonte dunque va letta come un accrescimento della dimensione civica della città, connotazione già rilevata da Giuseppe Galasso6, e va distinta, altresì, dalla possibilità di emettere moneta da parte dei mercanti forestieri, i quali coniavano secondo il proprio diritto7.

8Tuttavia, il privilegio rimarrebbe ancorato all’ultimo periodo normanno, risultando inconferente per l’epoca sveva, se non si disponesse della data certa (1220) della sua abolizione, che dimostra che sino a quel momento la città ne godeva ancora. Se ne parlerà infra (n. 3).

2. Siclae Magister (1200)

9Per i primi anni di regno di Federico II, ho per ora reperito un’unica fonte relativa a Napoli, documento che addirittura ci consegna l’esistenza di un maestro di zecca :

E che Sicla si chiamasse in Latino me lo attesta Messer Marco Ducci Cancelliere della Zecca, che lo ha veduto in più Scritture, e lo ratifica il Sig. Lodovico Adimari Gentiluomo assai cognito per la sua molta erudizione colla seguente Notizia cavata dagli Spoglj dell’Ammirato, fra’ quali si vede un Contratto fatto a Napoli del 1200, dove s’intitola Siclae Magister8.

10Nel glossario, l’Argelati precisa che « Siclae Magister, idest Magister Officinae Monetalis »9, rimandando al passo appena riportato10.

11Dunque è evidente che nel 1200 a Napoli vi fosse un maestro di zecca e di conseguenza una zecca da amministrare, come peraltro recentemente dimostrato. Qualcuno potrebbe obiettare che il Boissin si riferisse al Duecento, come secolo, e non all’anno, imputando in questo modo la presenza del maestro di zecca al periodo angioino (post 127811). Tuttavia, analizzando l’intera opera dell’autore, le cifre tonde sono sempre riferite all’anno preciso e non al secolo (« del 1300 », « dopo il 1400 », « dal 1500 »12), per cui anche in questo caso è inequivocabile che stesse citando precisamente l’anno 1200, vale a dire l’esatta data del contratto citato.

12Il Boissin, seguendo il suggerimento di Lodovico Adimari, ha rimandato agli « Spoglj dell’Ammirato », mai dati alle stampe e notoriamente custoditi in forma di manoscritti presso la Biblioteca Nazionale di Firenze, ove ho potuto riprodurre e controllare i codici Palatini 988-I e 988-II in cui detti spogli sono rilegati13.

13Purtroppo, tra i regesti relativi all’anno 1200 e tra quelli relativi ai primi anni di questo secolo, non sono riuscito a individuare il riferimento a questo « Siclae Magister », né eventualmente al nome di chi « s’intitola » in tal modo. Pertanto, non volendosi dubitare di quanto riferito dall’Adimari, si può congetturare che il breve scritto potrebbe trovarsi sotto qualche altra voce degli estesi manoscritti o addirittura su qualche carta sottratta14. D’altra parte, non è possibile confermare la circostanza in assoluto, sebbene gli elementi a favore della conferma siano prevalenti, come di seguito si illustra.

14I riferimenti indicati dall’antico erudito sono troppo precisi per essere falsi, in quanto egli indica l’opera, l’autore, il titolo, la dicitura rinvenuta (siclae magister), l’atto in cui essa si trova (contratto di Napoli) e persino l’anno. Né pare che il contesto per cui la notizia fu fornita (quello di accrescere le definizioni della parola ‘zecca’) sia accomunabile ad alcune falsificazioni di documenti e privilegi che notoriamente si praticarono tra XVII e XVIII secolo.

15Inoltre, la terminologia è perfettamente contestualizzata a livello cronologico e rappresenterebbe la sua prima apparizione sui documenti. Infatti, il termine magister, inteso come quella figura che inizialmente cominciò ad eccellere in una determinata manifattura, meritando detto titolo, e divenendo successivamente il vero e proprio capo di un’organizzazione produttiva, si diffuse plausibilmente tra XI e XII secolo15. Ecco quindi che, nell’anno 1200, il magister era pronto a soppiantare l’aurifex o il monetarius in zecca16.

3. Abolizione dei privilegi di Tancredi (1220)

16Della Curia (o assise) generale di Capua non si conosce la data precisa, ma questa si svolse sicuramente nella seconda metà del dicembre 122017, forse il 15 di questo mese. La sua eco nel regno federiciano peninsulare fu enorme. Infatti, molti privilegi del gennaio 1221 hanno come riferimento temporale l’inciso « post curiam Capuanam » e alcuni dei venti capitoli sviluppati in questo frangente si rinvengono nelle Constitutiones di Melfi, successive di un decennio.

17Molti dei predetti capitoli, nell’abolire lo status quo ante il 1220, si riportano tempore regis Guillelmi o comunque iuxta (aut) secundum consuetudinem regis Guillelmi (capp. I-II, IV, IX-X, XIII, XVII, XIX)18. L’intento federiciano, evidentemente maturato all’esito dell’insediamento cancelleresco di Pietro delle Vigne (1220), come testimonia anche il luogo di svolgimento della curia (Capua), fu quello di recuperare il tempo

quo rex ille christianissimus, cui nullus in orbe secundus, regni huius moderabatur habenas, qui inter omnes principes sublimis et habundans in omnibus opibus erat, stirpe clarus, fortuna elegans, virtute potens, sensu pollens, divitiis opulentus. Erat flos regum, corona principum. Quiritum [speculum, nobilium decus, amicorum fiducia, hostium terror, populi vita et virtus, miserorum inopum peregrinantium salus, laborantium fortitud o: legis et iustitie] cultus tempore suo vigebat, in regno sua erat quilibet sorte contentus ; ubique pax, ubique securitas, nec latronum metuebat viator insidias, nec maris nauta offendicula pyratarum19.

18Non si parla espressamente di zecca di Napoli, ma implicitamente, l’abolizione di quasi tutte le dinamiche intestabili a Tancredi dimostra che le stesse erano ancora in vigore nel 1220.

19Conseguentemente, la città di Napoli aveva goduto del privilegio di produrre moneta d’argento per sé per un trentennio circa (1190-1220). Ovviamente, tale grazia comprendeva anche la possibilità di emettere monetazione di rame e misture di rame e argento20.

20Detta abolizione si rese necessaria sia per disperdere il potere dei curiali in città21, sia per conferire un nuovo assetto amministrativo alla città nel Regno22, che a partire dall’insediamento di Pietro delle Vigne, fu nettamente decentrato a est, a discapito della Sicilia. I nuovi teatri del potere sarebbero stati la Puglia e la Campania, in città come Melfi, Capua e appunto Napoli, dove il cancelliere avrebbe edificato il proprio Palazzo, ergendolo a centro del potere amministrativo23. Non a caso, è degli stessi anni l’istituzione dell’Università e dello studium napoletano (1224).

4. Equiparazione degli ufficiali della zecca di Napoli a quelli di Brindisi e Messina (Napoli, 1221-1227)

21Di seguito riporto integralmente il provvedimento di Giovanna I, secondo la trascrizione del Monti, anche se l’analisi si concentrerà sulla prima metà del testo.

Pro siclarijs et affilatoribus Sicle Neapolis

Iohanna Dei gratia Regina Jerusalem et Sicilie ducatus Apulie et principatus Capua Provincie et Forcalquerij ac Pedimontis Comitissa Magistro lusticiario vel eius vicemgerenti Regentibus Curie Vicarie Regni Sicilie Iusticiarijs Capitaneis Secretis Magistris Portulanis ipsorumque locumtenentibus vicarijs magistris juratis Camerariis Baiulis Iudicibus Appreciatoribus quoque ac Tassatoribus Collectoribus ceterisque officialibus et personis alijs per terras et loca dicti Regni constitutis presentibus et futuris presentes licteras inspecturis fidelibus nostris gratiam et bonam voluntatem. Patet Curie nostre per competencia privilegia dominorum proavi avi et patris ducis nostrorum Regum Illustrium memorie recolende de inmunitate privilegij et libertate concessis iam dudum Siclarijs Brundusij et Messane necnon et forma privilegij in publica scriptura ostensi de eadem inmunitate concessa similiter eisdem Siclarijs per quondam Fredericum olim Romanorum jmperatorem ante deposicionem et excomunicacionem ipsius que sicut illorum series declarat expresse sunt videlicet :24

Quod persone omnes apte et utiles ad ipsarum Siclarum ministeria deputate sint inmunes et exempte ab omnibus dacis et collectis atque servicijs quodque de nulla causa tam civili quam criminali coram aliquo judice seu Curie Nostre officiali teneantur respondere nisi coram magistris Siclarum nostrarum qui essent pro tempore et gaudeant huiusmodi inmunitate et libertate persone deputate ad ministerium Sicle nostre Neapolis apte et utiles que gaudere consueverunt ex vigore licterarum predictorum dominorum proavi avi et patris nostrorum.

Noviter autem prefati magistri nobis actencius supplicaverunt ut cum huiusmodi inmunitates libertates et exempciones concesse ipsis affilatoribus et personis alijs ad ipsius Sicle officia et ministeria deputatis minus debito multociens impedire dicantur nam pro eo tempore quo ex aliquo contingenti casu ipsi vel aliqui ipsorum in dicta Sicla non laborant interdum quicquam per eos non stet quin continue laborent in illa jnmunitates et libertates ipse eis minime observantur vel non umquam ex alijs causis et quesitis caloribus propter quod impeditur exercicium dicte Sicle ipsis sic ad extranea tribunalia evocatis dignaremur super hoc oportuno remedio providere. Nos igitur in hac parte provisionem prefatorum dictorum progenitorum nostrorum prosequi ipsosque affilatores et personas alias aptas et necessarias in et pro exercicio Sicle iamdicte privilegio quo alij gaudent Siclarij gaudere ac omnia et singula privilegia prefatorum dominorum progenitorum nostrorum ab olim eisdem affilatoribus et personis alijs aptis et utilibus ad servicia et ministeria Sicle predicte per jamdictos progenitores nostros de inmunitatibus et libertatibus quibuscumque concessa confirmare ratificare approbare et eciam acceptare volentes fidelitati vestre sub pena unciarum auri quinquaginta a vestrum singulis quociens secus inde faceret forte presumpserit exigenda de certa nostra scientia precipimus quatenus eosdem affilatores et personas alias tam annis illis quibus laboraverint quam illis quibus laborare inchoaverint in Sicla jamdicta de quorum nominibus et cognomibus suis vicibus et occurrentibus casibus per licteras magistrorum Racionalium inagne nostre Curie dilectorum consiliariorum familarium nostrorumque fidelium Neapoli residencium in Archivo Vos volumus informari ac per eos non steterit sed per Curiam nostram vel magistros dicte Sicle quin opus earum in illa continuent ab omnibus predictis dacis collectis contribucionibus exaccionibus et subvencionious atque servicijs et honoribus quibuscumque per iamdictam Curiam eorumdem affilatorum et personarum aliarum concivibus inpositis iam et in antea inponendis servetis et servari faciatis inmunes nec ipsos contra ipsarum inmunitatum et libertatum tenorem si et quamdiu non abutantur eisdem aliquatenus molestetis seu molestari quomodolibet permictatis nec eos eciam ad vestra judicia civiliter et criminaliter et presertim super jnstrumentorum tenoribus ordinarie vel extraordinarie per vos trahi volumus quoquo modo quin ymmo ad licteras seu scriptiones dictorum magistrorum Racionalium ad magistros Sicle predicte remitti volumus et iubemus ut per ipsos fiat tam in civilibus quam in criminalibus justicie complementum.

Mandato aliquo nostro huic forte in contrarium facto vel in antea faciendo nullatenus obsistente. Presentes autem licteras postquam eas quilibet vestrum inspexerit prout et quantum fuerit oportunum restitui volumus presentanti.

Datum Neapoli per eosdem magistros Racionales magne nostre Curie anno Domini M.CCC.XLVj°. die primo marcij XIIII jndictionis Regnorum nostrorum anno IIIJ25.

22Già il Monti (p. 36) aveva fatto notare che con questo documento, la regina aveva confermato notevoli privilegi ai siclarii napoletani, accordando i medesimi poteri che Federico II aveva concesso ai siclarii di Brindisi26 e che già i predecessori della regina avevano accordato a quelli di Napoli. Tuttavia l’autore, non essendo a conoscenza dell’attività della zecca di Napoli in periodo svevo, non poté annoverare l’imperatore stesso tra i predecessori, facendo riferimento solo a Carlo I.

Da Patet Curie… a avi et patris nostrorum…, si traduce in questo modo :

È chiaro alla nostra Corte, attraverso i manifesti privilegi dei signori proavo, avo e padre, condottiero di rinnovata memoria tra i nostri illustri Re, sull’immunità del privilegio e la libertà già da tempo concesse agli zecchieri di Brindisi e Messina, con forma di privilegio mostrato su scrittura pubblica, inerente la stessa immunità concessa similmente agli stessi zecchieri grazie al fu Federico, un tempo imperatore dei Romani, prima della deposizione e della scomunica dello stesso, che proprio come la serie di quelli proclama espressamente, sono evidentemente i seguenti :

In ciò che tutte le persone atte e utili, deputate ai ministeri delle stesse zecche siano immuni ed esenti da tutti i dazi e collette e servizi e in ciò che su nessuna causa tanto civile quanto criminale davanti ad alcun giudice o ufficiale della nostra Corte siano tenuti a rispondere, se non davanti ai maestri delle nostre zecche, che ci siano pro tempore, e godano allo stesso modo di immunità e libertà le persone deputate al ministero della nostra zecca di Napoli, come atte e utili, che furono solite goderle in forza delle predette lettere dei nostri signori proavo, avo e padre.

23Sia in latino, sia dalla spartana traduzione volutamente letterale, traspare l’uso dei privilegi di Federico II, che avrebbero già al tempo dell’imperatore equiparato gli zecchieri napoletani a quelli di Brindisi e Messina, immunità che in epoca angioina erano state concesse anche da Carlo I, Carlo II e Roberto.

24Il seguente è probabilmente il passo originale di epoca federiciana, proprio come la serie di quelli (i privilegi di Federico) proclama espressamente :

Quod persone omnes apte et utiles ad ipsarum Siclarum ministeria deputate sint inmunes et exempte ab omnibus dacis et collectis atque servicijs quodque de nulla causa tam civili quam criminali coram aliquo judice seu Curie Nostre officiali teneantur respondere nisi coram magistris Siclarum nostrarum qui essent pro tempore et gaudeant huiusmodi inmunitate et libertate persone deputate ad ministerium Sicle nostre Neapolis apte et utiles que gaudere consueverunt.

25Ma questo documento aveva già suscitato interesse nella nota sede27 per l’importante valore cronologico che offre.

26Il riferimento cronologico (« ante deposicionem et excomunicacionem ipsius que sicut illorum series declarat expresse ») fornito dal documento angioino non è quello dell’aprile 1239, bensì quello del tempo della prima scomunica (122728), antecedentemente al quale i siclarii di Brindisi avrebbero ricevuto i noti privilegi (probabilmente nel settembre 122129) e, conseguentemente nell’autunno/inverno del 1229, gli addetti della zecca di Napoli avrebbero avuto la prima occasione per ricevere grazie e diritti conformi a quelli dei colleghi brindisini.

5. Sede di zecca nel Palazzo di Pietro delle Vigne e alla Pietra del Pesce (1220-1249 e 1280)

27A differenza degli altri documenti qui presentati, ma al pari del doc. 1, la fonte trascritta di seguito copre il lungo periodo: circa un trentennio durante il regno di Federico.

Pro delatura ferramentorum et aliorum stilium Regiae Siclae a palatio quondam Pietri de Vineis, ubi Regia Sicla fiebat, et rationes audiebantur, et servabantur evacuando et liberando Venerabili Domino G. Sabinensi episcopo pro habitatione sua dum Romana Curia Neapoli resideret in mense Septembris et Octobris 8 indictioni, quae ferramenta et Stilia delata sunt a dicto Palatio ad domos Curiae sitas iuxta astracum quod dicitur de Mari prope Petram piscium Neapolis, ubi dicta Sicla facta fuit, et rationes Curiae auditae, et conservatae fuerant. Et deinde recedente Romana Curia de Civitate Neapolis reportare fecit dicta ferramenta et Stilia ad predictum palatium Petri de Vineis; ubi denuo reficere fecerunt omnia necessaria pro dicta Sicla30.

28Questo documento, fornitoci prima facie dal Capasso, per intercessione del Minieri-Riccio31, getta inequivocabilmente luce su due sedi della zecca di Napoli : la prima istituita dai tempi di Federico II nel palazzo del suo autorevole cancelliere, Pietro delle Vigne32 ; la seconda presso la Pietra del Pesce, in occasione della visita apostolica di Gerardo, vescovo di Sabina (settembre-ottobre 1280). Questa seconda sede dimostra che l’officina aperta a Castel Capuano dal 1278 al 1285 non operò in esclusiva e rappresentò un momento occasionale rispetto alla tradizionale zecca napoletana. La zecca della Pietra del Pesce, nonostante fosse stata effimera (soltanto due mesi di attività), dové essere attiva, visto che fu collocata al centro del Borgo degli Orefici, nei pressi della loggia dei Genovesi, luogo ideale per battere moneta.

29L’importanza di questo documento aveva disorientato persino il Capasso, il quale aveva ritenuto che l’officina posta nel Palazzo del Delle Vigne fosse stata attivata soltanto dopo il 1285, ma, con invidiabile onestà scientifica, l’autore aveva ammesso di non conoscere prima di allora tale stato di cose33. Tuttavia, trovatosi nell’imbarazzo dell’ingombrante novità, nonché praticamente all’oscuro dell’attività della zecca al tempo di Federico II, l’archivista incorse di lì a poco un grave errore, giudicando gli attrezzi della zecca « inservienti ». Al contrario, il tenore del documento affresca un preciso quadro, che illustra la prima fase del prelievo degli attrezzi dalla zecca del Palazzo per essere usati alla Pietra del Pesce, « ubi dicta Sicla facta fuit », e la seconda fase del riposizionamento degli attrezzi presso il palazzo di Pietro, « ubi denuo reficere fecerunt omnia necessaria pro dicta Sicla ». Insomma, a questa zecca non fu concessa nemmeno una pausa bimestrale, visto che operò senza apprezzabili soste, ma l’autore, pur di non lasciare spazio all’esistenza della zecca federiciana, forzò il senso del documento.

30Inoltre, l’inesauribile Capasso rammentò che esistevano varie fonti angioine, datate dal 1305 al 1318, le quali attestavano la coniazione di moneta nel Palazzo del Delle Vigne34. In questo caso, però, il riferimento riguardava la coniazione angioina che tutti conosciamo (1285-1325), storia da poco emendata col corretto arco di tempo ‘1280-1325’ (v. fig. 1).

31Tuttavia, non si può omettere di citare il pregevole passaggio, pure considerato dall’autore, ma già pubblicato cinquant’anni prima dal Fusco (« in palatio quondam Petri de Vineis in Neapoli ubi consuetum exsistit fieri esercitium Sicle »), frammento attraverso il quale nel 1305 si certificava la consuetudine dell’esercizio della zecca in detto palazzo, pratica che non poteva di certo assurgere ad una prassi consuetudinaria, considerando il solo arco ventennale (1285-1305). Pertanto, il menante si riferiva anche al precedente periodo svevo e angioino. Per tale ragione, in funzione rafforzativa dell’altro frammento, la fonte è meritevole di nota in questa sede35.

6. Raccolta di metallo da coniare a Napoli (1229)

32L’imperatore, di ritorno dalla Terra Santa, a seguito degli accordi intercorsi col sultano Al Kamil, aveva necessità di danaro per stipendiare l’esercito, per sedare il Regno messo in sommossa dalle fazioni papali e soprattutto per regolare i riscatti promessi al sultano36.

33Pertanto, dopo essere sbarcato a Brindisi e giunto a Capua nel settembre del 1229, si mise in cerca di metallo, notizia di cui ci informa Riccardo San Germano :

Imperator cum fortunato crucesignatorum exercitu venit Capuam mense Septembris et ab ista parte Capue Sarracenorum cuneos ordinavit, seque Neapolym contulit eris et gentis a civibus auxilium petiturus37.

34Questo passo, per usare un eufemismo, è stato frainteso dal Garufi, il quale lo ha tradotto in questo modo : « [Federico] arriva coi suoi fedeli a Capua, passa a rassegna i Saraceni e va a Napoli in cerca di aiuti e danari »38.

35In realtà, non era in cerca di denari, ma di metallo (eris) da battere. Grazie alle coordinate geografiche indicate nel racconto, si capisce che la destinazione finale dei metalli era la zecca di Napoli e che, considerata la base di partenza dell’operazione in Capua, il mentore di tutta l’operazione era stato Pietro delle Vigne, rilievo peraltro confermato dal doc. 9.

7. Coniazione e quantitativo di moneta coniata (1229)

36A poco più di un secolo dai fatti narrati nel doc. 5, intorno alla metà del Trecento, visse il padre di Loise De Rosa, mastro di casa di molti regnanti napoletani (da Ladislao a Ferrante), nonché custode dei saggi d’oro e d’argento della zecca. Costui ebbe cura di trascrivere i ricordi del padre, come lui stesso riferisce, creando la più famosa cronaca dei Ricordi di Loise de Rosa39.

37Il passo, che di seguito si trascrive dai Ricordi, riguarda la fase immediatamente successiva all’episodio narrato dal San Germano (doc. 6) e pare piuttosto evidente che il de Rosa non attinse dal cassinate. Esistevano dunque altre fonti, oggi disperse, ovvero una forte tradizione orale presso la Corte angioina. Tradizione che può ritenersi attendibile con ampio margine di sicurezza, sia perché l’erede di tale memoria non era vissuto troppo lontano dall’epoca sveva (quattro generazioni), sia perché suo figlio fu un ufficiale della zecca, avvezzo dunque a conoscere meccanismi e dinamiche del fare la moneta40.

Lo inperatore ve(n)ne colle galee41 et (con) tutty ly singniure in Napole et trovao rebbellate la maiure parte de ly singniure / et anco delle te(r)re dello du(m)manio. Et isso no(n) attese ad altro se no / fare fare le monete p(er) mandare lo recchatto. Esspaccziato che fo / lo tresauro della taglia de tutty ly singniure, foro mandate p(er) // nave et galee. Dove abbero tanto malo tienpo che stettero più / de uno mese più de lo tienpo che pigliaro de portare la tagl/ia42.

38La fonte ci dice esplicitamente che nel 1229 furono coniate monete a Napoli, in una situazione d’emergenza e col precipuo fine di saldare il riscatto a beneficio del sultano e, s’intende, delle forze alleate di Federico. L’imperatore non attese altro che far battere le monete. Tuttavia, il De Rosa non indica i metalli impiegati, che erano già generici nella Chronica (eris), ma l’autore compie un decisivo passo in avanti, giacché ci informa del confezionamento di un tesoro che sarebbe stato esspaccziato, vale a dire diviso, al fine di corrispondere le taglie (= quote) precise. Si è inoltre già osservato, che il procedimento di divisione delle monete potrebbe avere non solo il senso più comune della divisione della somma, ma anche quello del frazionamento materiale delle singole monete. Infatti, spezzare le monete, in particolare quelle d’oro, era costume tipico dell’epoca. Da questa critica filologico-esegetica si è giunti a ipotizzare che si fossero coniati tarì d’oro a Napoli, nonostante l’assenza delle tipologie dei metalli43. Oggi, questa che sembrava solo un’ipotesi, può essere considerata realtà in considerazione del doc. 9 più avanti commentato.

8. Tipologia di moneta coniata (1229)

39Un altro passo del de Rosa, menato alla fine della stessa carta, nel solco del discorso principiato al doc. 7, è decisivo ai fini dell’individuazione di uno dei tagli coniati, vale a dire il tornese :

In prociesso de certe dý, vene l’armata co’ ly denare et lo solda//no disse ally inbassiature como era battiato p(er) lo grande miraco/lo che vede de lo sangue, « et depo’ de lo battisimo vide uno altro / miracolo : volendo vedere chillo cuorpo de Cristo inde la bosso/da, vide uno picczilillo che iocava dentro la bossoda. Sicché yo / dellibero che, p(er) reverencia de lo corpo de Cristo, no(n) volete taglia / [35r.] de ly cristiane. Torna la moneta indereto et riende le taglie uno per uno, ca io só scristiano oramay ». Èy nomo francese : ‘tornés indereto44.

40Senza questa precisa indicazione, non sarebbe stato possibile intestare tornesi alla zecca di Napoli in epoca sveva, sia perché queste sono monete di mistura, vale a dire di una lega di biglione composta d’argento e di rame, non espressamente indicata nelle altre fonti qui riportate45, sia perché il tornese si riteneva coniato nel Regno solo a partire dal 1381 e a Napoli solo in epoca aragonese46, o al massimo, grazie a recenti studi, si sapeva che fu coniato a Napoli dal tempo di Carlo I a quello di Carlo V47.

41Degna d’attenzione è pure la colorita derivazione del nome della moneta, che il de Rosa ricollega al rifiuto del riscatto da parte del Sultano di Damasco, il quale aveva assistito a mirabili miracoli di parte cristiana48. Attualmente, la derivazione del nome ‘tornese’ è ricollegata esclusivamente alle monete fatte battere dall’Abbazia di San Martino a Tours in Francia.

42In un certo qual modo, l’aneddoto che il de Rosa racconta, si ricollega anche a tale tradizionale genesi numismatica, visto che ne ammette il nome francese. Senza alcun dubbio, però, l’autore riferisce che nella tornata del 1229 Federico II, oltre agli altri tagli, coniò monete di mistura49.

9. Coniazione e tipologia di moneta coniata (1229)

43Altra fonte di grande rilievo sulla coniazione di moneta del 1229 è sopravvissuta tra le pieghe degli Annales Hirsaugienses del Tritemio50, il quale raccontò un aneddoto sull’imperatore51 : Federico II aveva chiesto consiglio a Pietro delle Vigne sulle modalità di raccolta del metallo da coniare in monete. Il consiglio dell’esimio giudice fu quello di spogliare le chiese di oro e di argento, cosa che si sarebbe ripetuta con identica forma nel 1241-1242, per battere moneta a Grottaferrata52.

At vero Petrus, qui mentem suam vultus alacritate celabat: cum nihil magis quàm vindictam animo revolueret: consilium dedit Imperatori postulanti, ut Monasterijs & Ecclesijs vasa tolleret aurea simul & argentea, quae maxima & numero & pondere haberentur in Regno, constataque in monetam stipendio conduceret exercitus: atque suos omnes potenter invederet adversarios, humiliaretque rebellantes. Postea verò quando fortuna arriserit melior, omnia redderet. Placuit Imperatori consilium, & spoliatis per Regnum Ecclesijs, thesaurum incredibilem brevi tempore comportavit, & facta moneta, undequaque conduxit exercitum. Ecclesias Regni omnes spoliavit calicibus, & quidquid in auro vel argento habebant, abstulit: promittens singulis omnia se meliora redditurum, qui nihil penitus cuiquam restituit53.

44Il documento chiarisce alcuni aspetti che erano stati – da parte mia – soltanto desunti dai Ricordi del De Rosa, seppure correttamente54. In particolare, la fonte disvela inequivocabilmente gran parte della composizione del tesoro, il quale oltre a essere cospicuo, era fatto d’oro e d’argento. Con questi metalli si coniarono monete (facta moneta)55, secondo le regolari coniazioni del Regno, che per Napoli erano sia a nome del sovrano, sia imitative delle forestiere56. Perciò si batterono tarì d’oro e monete di mistura d’argento almeno, ma v’è di più. Tenuto conto che gli augustali d’oro si considerano introdotti nel 1231, in quanto la prima notizia che li riguarda è quella fornita da Riccardo (« Nummi aurei, qui Augustales vocantur, de mandato Imperatoris in utraque sycla Brundusii et Messane cuduntur »)57, bisognerebbe anticipare la prima emissione di queste monete alla fine del 1229, qualora non si volessero considerare i tarì d’oro con legenda pseudo-cufica, come monete coniate in questo vorticoso frangente.

45La fonte si incastra perfettamente nel panorama dell’autunno del 1229 : non solo in quello tratteggiato da Riccardo San Germano e da Loise De Rosa (doc. 6, 7, 8), ma anche nei fatti del doc. 5, visto che il mentore dell’operazione era stato il Delle Vigne e la coniazione di cui si parla si svolse nel suo palazzo napoletano ove sedeva la zecca.

46In ogni caso, quanto riferito dal Tritemio non può essere stato attinto dalla Chronica e nemmeno dai Ricordi. La matrice si trova probabilmente nella biblioteca dell’Abbazia di Sponheim, dove il doctissimus Trithemius fu abate dal 1483 al 1505 e dove costituì una biblioteca di circa 2000 esemplari. Tuttavia, considerato che nel Chronicon Hirsaugense la notizia manca e, preso atto del fatto che gli Annales Hirsaugienses furono ultimati nel 1514, quando l’autore era da tempo abate presso « S. Iacobum in Suburbano Civitatis Poapolitana, quam Würzburg vulgariter appellant »58, è piuttosto verosimile che detti materiali di base si trovino in quest’ultimo luogo, dove in anno Domini 1516 lo spanheimense fu mietuto a soli cinquantaquattro anni59.

47In definitiva, sui fatti del 1229, possiamo vantare tre fonti di cui una, prodotta per via di testimonianza, praticamente oculare (doc. 6) ; un’altra, prodotta per tradizione orale, nemmeno troppo lontana dai mentovati accadimenti (doc. 7, 8), e un’ultima (che cela ulteriori fonti), prodotta su basi scientifiche da uno storico di alto spessore (doc. 9). Pertanto, la notizia dell’attività della zecca di Napoli al tempo di Federico II è inequivocabile.

10. Un ufficiale della zecca sveva di Napoli? (1232)

48La politica filo-pisana di Federico II si era già rivelata nel fatidico 1229, a seguito dell’incoronazione da re di Gerusalemme, quando ad aprile dello stesso anno l’imperatore concesse la giurisdizione e le franchigie da esercitare nella Città Santa, nonché la conferma dei privilegi goduti in Acone (Toscana), Tiro e Gioppe (Palestina)60. I Pisani ricevettero anche un porto speciale a Napoli, grazie al favore di Federico II61, ma già ai tempi di Ruggero II, sul finire del Ducato (1135-1140), si rifornivano e/o producevano moneta lucchese a Napoli62 e possedevano una domum in platea portus63.

Instrumentum unum libelli curialiscum scriptum continens quomodo illi Pisani tenuerunt quamdam domum nostram sitam in Platea Portus, tunc vero tenet Petrus Castagnola aurifex et heredes suos et non posuimus fines propter maximam antiquitatem dicti instrumenti et per translationem possessionis eos non posuimus. Reddunt annuatim dicto nostro Monasterio in Sesto Sancti Petri de mense junii sextarium unum olei adductum usque in nostro Monasterio absque limitatione et diminutione quacumque et est signatum hoc signo. LXXVI64.

49L’interessante documento non presenta la data, ma è inserito in una serie di carte di epoca sveva o di epoca angioina che richiama quella sveva. È infatti preceduto da un pezzo del 1232 e da uno del 1261, mentre è seguito da un primo documento privo di data che però cita un « instrumentum factum in tempore Regis Frederici » e da un secondo che contiene un instrumentum del 1232. Il documento senza data si può agevolmente collocare alla prima epoca angioina, poiché nell’esprimere la rendita del « molendinum situm foris illud flumen de ponte marmoreo », un tempo di « illi Sarraceni », esso fa riferimento a una rendita annuale di « tarenos duodecim in carlenis argenti », conî questi ultimi notoriamente introdotti a partire dal 1278. Lo schema di questo documento è molto simile a quello di nostro interesse, con la sostanziale differenza tra un ‘tunc’ (« tunc vero tenet Petrus Castagnola aurifex ») e un ‘nunc’ (« nunc autem tenet Dominus Ligorius Minutulus de Neapoli et heredes ejus »)65. Per tale ragione si può attribuire alla prima epoca angioina, ma come narrante fatti precedenti. Inoltre, mentre Ligorio Minutolo era ‘ora’ proprietario del sito, vale a dire in epoca angioina, il Castagnola lo fu ‘a quel tempo’, non mentre il menante scriveva, ma quando i Pisani tenevano detto porto. Di conseguenza la gestione del Castagnola è collocabile al 1232, in armonia con gli altri documenti. Gli heredes del Castagnola furono invece, con ogni probabilità, contemporanei del menante angioino, come si vedrà a breve.

50Una volta stabilita la cronologia relativa al Castagnola, si può finalmente sottolineare che quella domus di epoca sveva fu tenuta da un aurifex, ruolo che nella trattazione della ‘fonte doc. 2’ abbiamo visto essere equiparato a un monetarius in questi tempi più antichi66. Tale equiparazione, sostenuta dal Monneret De Villard e dal Galasso, pare avvalorata e confermata dal fatto che al tempo di Carlo II, Giovanni Castagnola, discendente del predetto Pietro, era il saggiatore delle monete della zecca, vale a dire il maestro di prova67.

51Inoltre, dal dicembre 1346 la zecca di Napoli fu diretta da Nicola Castagnola68, altro componente, a questo punto, di una importante famiglia di zecchieri. Tale dato di fatto si sposa alla perfezione con la conferma delle modalità organizzative della zecca operata nel marzo dello stesso anno da Giovanna I, la quale si era riportata ai tempi di Federico II (v. doc. 4), nonché con l’ereditarietà delle cariche, prassi tipica dell’epoca69, che certifica con buona approssimazione che anche il primo Pietro non fu un semplice aurifex, ma un siclarius a Napoli, operante per i Pisani70. In poche parole, durante i primi anni di regno della regina, si cercò di restaurare in zecca l’ultimo trentennio federiciano.

52Non solo : la famiglia Castagnola era anche proprietaria dell’area dove fu edificata Santa Maria la Nova71, nei pressi della casa dei Vulcano, sito che tra il 1325 e il 1333 ospitò la zecca di Napoli (fig. 1).

11. Zecca, ufficiali e tipologia di moneta coniata (1238)

53Il documento datato 19 luglio 1238, che di seguito si riporta, apparentemente non si riferisce ad alcuna zecca in particolare, ma il Kantorowicz lo ha ricollegato alla nota di Riccardo San Germano72, il quale laconicamente scrisse che nel gennaio 1239 a Brindisi vennero coniati « imperiales novi »73. Forse il Kantorowicz voleva significare che, l’anno successivo, a Brindisi si coniarono le monete prescritte l’anno precedente, ma in ogni caso non colse la portata del provvedimento.

Fr[idericus] etc. Dilectis familiaribus et fidelibus suis, venerabilibus B. Panormitano, I. Capuano archiepiscopis, P. Ravellensi episcopo et Henrico de Morra et cetera. Quantum curie nostre pecunia sit oportuna, ad presens vestra devocio non ignorat. Sollicite igitur omnes vias expedit inveniri, ex quibus habere pecuniam valeamus, propter quod de cudenda nova moneta nuper per nostram curiam est provisum. Formam itaque, quam quidam fideles nostri de partibus ipsis nostro culmini destinarunt, mittimus vobis presentibus interclusam, fidelitati vestre percipiendo mandantes, quatenus secundum tenorem ipsius vel alterius, quam vos omni cautela adhibita videritis melius utilitati nostre expedire, cudi novam pecuniam faciatis et amotis omnibus magistris, qui modo sunt super siclam, et omnibus eorum officialibus, qui curie nostre comodum male exercuisse dicuntur, statuatis super ea quatuor viros fideles nostros, de quorum fide, discrecione et industria plus confidatis, qui nullum partecipium cum mercatoribus habeant nec aliis negociis vacare cogantur, sed tantum curie nostre comodum tota intencione studeant procurare. Preterea, sicut vobis alia vice mandasse recolimus, firmiter prohibere curetis, ut bulzonalia de regno nullatenus extrabantur. Ad hoc, ut predictum negocium melius et cicius compleatur, propterea siquidem statuendos super sicla de novo partecipium habere cum mercatoribus prohibemus. Solet enim curia nostra proinde grande incomodum presentire, dum mercatoribus per eos, qui super sicla erant et partecipium secum habebant, valor nove pecunie pandebatur. Sub quibus autem ymaginibus hec nova pecunia cudi debeat, Henricus de Morra, magne curie nostre magister iusticiarius, fidelis noster, plene per curiam nostram venit instructus. Dat. in castris in Brixiano ante Manervium xviiii. iulii, xi indictionis74.

54Come visto, Federico II aveva spostato il baricentro del Regno nell’area peninsulare. Sono pertanto da escludere le zecche di Palermo e Messina, rispetto a questo ordine, ed è altresì da escludere quella di Brindisi, quanto meno con riferimento alla cronologia della coniazione75. Infatti, l’operazione monetaria richiedeva rapidità, perché ordinata nel frangente dell’assedio di Brescia e, al fine di garantire tempi ragionevoli (cicius), sarebbe stato più agevole fermarsi a nord del Regno e non ai confini dell’estremo sud, per emettere le prime partite. Forse proprio per tale ragione, la missione fu affidata a un fedelissimo ufficiale dell’imperatore, Enrico de Morra, « magne imperialis curie magister iustitiariatus », soggetto che trascorse un trentennio circa tra Napoli e i territori cassinati, vale a dire in Terra di Lavoro (attuale Lazio/Campania)76. Fu addirittura compalazzo a Napoli77. Ci si pone la stessa domanda di Fuiano: che cosa aveva indotto Federico a servirsi del maestro giustiziere nel ruolo di compalazzo e, a questo punto, praticamente in quello di maestro di zecca ? E ci si accontenta della medesima risposta fornita dall’autore : « è incontestabile che la storia di Napoli, come città, rifulgeva nettamente su quella di ogni altra località dell’Italia meridionale nell’ultimo secolo »78.

55Non solo, la sicla per antonomasia era quella di Napoli, vale a dire una sicla che non necessitava di genitivo (in quanto sicla di tutti)79, a differenza Brundisii et Messanae, e per questo era anche quella più frequentata dai « mercatoribus », che prelevavano la moneta qui prodotta o talvolta facevano coniare essi stessi la propria moneta. A partire dall’epoca angioina si cominciò a specificare che si trattava sicle Neapolis, ma ciò si verificava esclusivamente da parte della cancelleria reale, mentre coloro che andavano a battere la propria moneta a Napoli avevano conservato la consuetudine di non menzionare mai il nome della città, anche durante il periodo angioino. Per tale ragione la realtà partenopea non è stata correttamente ricostruita80.

56Inoltre, il documento pone il termine ‘sicla’ sempre al singolare, mentre in genere, quando si trattava di moneta da prodursi a Brindisi, l’ordine era spesso valevole anche per Messina, determinando il plurale nei vari casi (siclae, siclarum, etc.)81. Infatti, super ea e non super eis si dovevano nominare quattro ufficiali fedeli.

57È interessante notare come anche il successivo doc. 12, che grazie a elaborata analisi conduce alla zecca di Napoli, non presenti l’indicazione del nome della zecca. È come se il nome della piazza partenopea fosse scontato, sottinteso o sottaciuto. Tale stato di cose ha presentato come invisibile, agli occhi dello storico di turno, questa funzionalissima zecca. A parte i doc. 2, 11 e 12, che nonostante il silenzio ci conducono a Napoli, si rende necessario rivalutare molti altri documenti che tacciono il luogo e, magari, sono stati abbinati ad altre zecche al posto di quella di Napoli, solo perché note.

58Infine, la portata del provvedimento non fa altro che confermare la coniazione di moneta forestiera a Napoli, già abbondantemente documentata82. Infatti Enrico de Morra, instructus ad hoc dalla Magna Curia, doveva far coniare nuova moneta sotto le insegne di quei mercanti (« mercatoribus ... Sub quibus autem ymaginibus »)83, perché, nonostante avesse proibito la loro compartecipazione mentre il nuovo valore si diffondeva, autem faceva eccezione sull’iconografia84.

59La nova moneta si doveva coniare dopo la rimozione dei maestri e dei loro ufficiali sospettati di aver male esercitato in zecca, sostituendoli con quattro uomini fedeli, che non avevano rapporti con i mercanti e che mostravano cura soltanto per la Corte. Tale dettaglio colloca Enrico de Morra non propriamente in qualità di maestro di zecca, ma come creatore e coordinatore di maestri e ufficiali della zecca. Dopo questa operazione, il negozio non poteva essere compartecipato dai mercanti, per essere meglio e più velocemente compiuto e, in ogni caso, purché si rispettasse il valore della nuova pecunia. Quest’ultimo era l’aspetto che premeva: il valore. Del resto si ricorda la progressiva riduzione di qualità dei denari federiciani che il Chartularium di Marsiglia mette nero su bianco85. I mercanti, quindi, avrebbero ostacolato la diffusione di moneta di qualità inferiore, se avessero partecipato al negocium, ma per rendere la moneta ben accetta, questa fu coniata sotto le immagini di quelli. Diversamente, alle zecche di Brindisi e Messina, solo in un secondo momento (rispettivamente 6 mesi e un anno e ½ dopo il luglio 123886), per giunta sempre da Napoli, furono prescritti i denari con le immagini dell’imperatore87.

60Non si tratta di tempi normali, né correlabili alle esigenze di Federico, visto che tra la ricezione dell’ordine (« formam…interclusam ») e la coniazione di moneta, non sarebbe intercorso più di un mese, vale a dire il tempo per Enrico de Morra (che si era portato a Brescia già a giugno ed era quindi insieme all’imperatore88) di rientrare a Napoli e nominare i nuovi ufficiali. Infatti, « mense augusti [1238] Henricus de Morra Magister iustitiarius redit in Regnum de Lombardia »89. Pertanto, i tempi riguardanti le coniazioni di Brindisi e Messina degli anni successivi sono nettamente distinti dalle emissioni che occorsero all’imperatore per soddisfare il « gran bisogno di fondi per la guerra »90 e che il de Morra prontamente aveva riportato a Brescia nel mese di agosto91.

61Da ultimo, si prova solo a ipotizzare le funzioni dei quattro uomini presposti al funzionamento della zecca di Napoli. La zecca non poteva funzionare senza un maestro di prova92. Occorreva inoltre un credenziere, a fini di peso e contabilità della moneta, e non poteva mancare un maestro di conio, che sovraintendeva ai numerosi conî usati per battere in poco tempo la moneta. Il quarto ufficio poteva essere vario, a seconda delle istruzioni verbalmente ricevute: un maestro di zecca, un secondo credenziere, un guardaprova, etc.

12. Tipologia di moneta coniata (1243)

62Questa rassegna si conclude con un documento, un tempo piuttosto enigmatico, ma attualmente, a seguito della sua contestualizzazione nel quadro tracciato dalle varie fonti, risulta piuttosto chiaro.

63Di seguito si riporta l’accordo col quale Federico II vende a Bentivegna (Bensivegna) Davanzi o Davanzati, mercante fiorentino, i diritti sulla miniera d’argento di Montieri (Grosseto) per un biennio. L’imperatore cede per lo stesso periodo anche i proventi di alcuni passi e pascoli relativi a località limitrofe.

Friderigus Dei gratia Romanorum Imperator semper Augustus, Ierusalem, & Sicilie Rex. Per presens scriptum notum facimus universis Imperii fidelibus, tam presentibus, quam futuris, quod nos pro expediendis ad presens arduis Imperii negotiis, que incumbent, vendidimus, & tradidimus, atque cessimus Bensivegne Mercatori Florentie, filio quondam Ugolini, fideli nostro, a die scilicet Mercurii presentis mensis Novembris usque ad duos annos completos futuros Argenteriam nostram Monterii, salvis bannis, penis, exercitu, atque custodia Castri, quam nobis, & Imperio reservavimus ; concedimus etiam quod infra eumdem terminum liceat sibi ibidem monetam miliarensium cudere & cudi facere ad modum, & formam, quae in Sicha Pisarum servatur. Praeterea vendidimus prenominato Bensivegne pro duobus annis futuris passadia, sive telonea, iura, & proventus passagiorum, que curia nostra debet habere in Sancto Miniate, et eius curia, in Ficeclio, & eius curia, in Valle Nevole, Ariane, & Lime, tam in aqua, quam in terra, que consueta sunt haberi, & tolli, tam de pecudibus, quam de aliis, sicut consuetum est. Pro quibus venditionibus prefatus Bensivegna Curie nostre in presenti dedit, & solvit de denariis Pisanorum parvorum librarum undecim millia, prout inter Curiam, & ipsum conventum est & c.

Datum in Castris ante Viterbium anno MCCXLIII, die Mercurii, IV. Novembris imperante Domino nostro Friderigo Secundo Dei gratia invictissimo Romanorum Imperatore semper Augusto, Ierusalem, & Siciliae Rege, Imperii eius anno XXIII. Regni Ierusalem XIX. Regni vero Siciliae XLVI.93

64La parte di interesse per questo studio è naturalmente offerta dalla coniazione di moneta. Infatti, l’imperatore aveva stabilito che fosse lecito per il Bentivegna ibidem monetam miliarensium cudere & cudi facere ad modum, & formam, quae in Sicha Pisarum servatur, utilizzando l’argento estratto dalla miniera compravenduta.

65Tuttavia, due sono gli enigmi da risolvere: la consistenza iconografica del miliarese e la riferibilità del documento alla zecca di Napoli. In questa sede ci si limiterà al secondo aspetto, non senza ricordare che il miliarese era una moneta d’argento molto coniata nel centro-sud dell’Italia, nonché di conto nei rapporti internazionali94.

66Il documento non indica dove il mercante fiorentino avrebbe dovuto battere miliaresi, ma con ottima approssimazione si possono escludere le grandi zecche toscane come la fiorentina e la pisana. Se si fosse trattato della seconda non sarebbe stato necessario specificare che la moneta doveva essere coniata a modo e forma di Pisa, mentre se si fosse trattato della prima, la rivalità economica (e non solo) tra le due città avrebbe impedito coniazioni del genere. Lucca, nemmeno a citarla, a seguito delle diatribe sull’imitazione monetaria intercorse proprio con Pisa. Dunque occorreva una piazza ulteriore, che si individua in Napoli grazie alla rivalità tra le città toscane, ma non solo.

67È sufficiente rendersi conto, infatti, che sul finire dell’epoca normanna, nonché durante quella sveva, la supremazia mercantile nel Regno di Sicilia peninsulare fu appannaggio dei Pisani, che con la propria moneta avevano sostituito i Lucchesi. Invece, l’esponenziale crescita mercantile di Firenze si ebbe a partire dalla dominazione angioina. Il modus operandi dei Fiorentini, ormai accertato con vari documenti, consisteva nel coniare fiorini di conio fiorentino nella zecca di Napoli, così come nella stessa zecca si coniarono denari lucchesi al tempo di Ruggero II95.

68Dunque, nella coniazione di moneta a Napoli, i Fiorentini si sostituirono proprio ai Pisani, che precedentemente si erano sostituiti ai Lucchesi.

69È per tale ragione che ci troviamo di fronte a un contratto, il quale, nonostante fosse stato concluso con un fiorentino, che operava a Napoli, imponeva di coniare a modo di Pisa. Del resto al doc. 10 si è già visto che il Castagnola, ufficiale di zecca, gestiva la domus pisana e non è da escludere, considerata la stretta prossimità temporale delle due fonti (1232-1243), che l’argento estratto a Montieri, prima di farne moneta, fosse saggiato proprio dal Castagnola o al massimo dal suo immediato successore, in considerazione della rimozione degli ufficiali operata nel 1238 dal de Morra (doc. 11).

70Ulteriore e decisivo elemento che conferma che quell’argento si coniò a Napoli riguarda la famiglia del Bentivegna. I Davanzati, nelle prime fasi di dominio aragonese su Napoli, rimettevano ancora argento nella zecca partenopea96. Ciò significa che i metalli che raccoglievano in vario modo, per via di miniera, per via di mercanzia o per via di pegno, confluivano generalmente nella zecca partenopea, anche se costoro erano fiorentini.

13. Un maestro di zecca clarissimus ? (1220-1249 ?)

71Nell’analisi del secondo documento si è visto che la zecca era dotata di un magister sin dal 1200, ma non è stato rinvenuto alcun nome specifico in questa carica al tempo di Federico II, fatta eccezione per il Castagnola (doc. 10), che tuttavia sembra essere un saggiatore, piuttosto che un maestro di zecca. Ad ogni buon conto, un ruolo similare fu certamente rivestito da Enrico de Morra nel 1238, poiché a costui fu appaltata la gestione della coniazione della moneta da servire per il finanziamento dell’impresa di Brescia, ponendo sotto la sua direzione quattro nuovi ufficiali (doc. 11).

72Da qui, non sarebbe azzardata l’ipotesi che individua proprio Pietro delle Vigne in qualità di maestro di zecca. Del resto era stata una sua idea quella di riunire le principali istituzioni nel proprio palazzo napoletano e la sua preparazione giuridica non gli avrebbe impedito certo di svolgere un ruolo, che null’altro era se non una magistratura. Fu sempre lui a suggerire le modalità per battere moneta nel 1229 all’imperatore (doc. 9).

73A ben vedere, questa ipotesi sembra trovare riscontro nella mancata giustificazione del titolo di magister che accompagnò il giudice. Non è ben chiaro quando detto titolo sia stato ricevuto, né se sia riferibile a quello proprio di maestro di zecca. Del resto nel Regno esistevano numerose cariche che avrebbero potuto garantire tale appellativo, come per esempio il maestro giustiziario o il portulano. Fatto sta che detto titolo lo seguiva anche quando agiva nelle vesti di protonotario, di logoteta o di Magne Curie Judex e persino nel ruolo di semplice testimone97.

74Probabilmente, la mancata specificazione di ulteriori ruoli ne faceva un magister ante litteram, preposto alla stragrande maggioranza delle istituzioni operanti nel Palazzo della Zecca, vale a dire a casa propria98.

75Certo è che, stretto collega di Pietro fu Enrico de Morra, anch’egli « magne imperialis curie magister », al quale era stata affidata la gestione super sicla nel 1238, oltre al fatto che proprio a costui era stato dato il compito di mettere in atto nel Regno i principi delle assise di Capua del 1220 (doc. 3). Simone e Enrico di Tocco, Roffredo di San Germano e Pietro furono i quattro giudici della Magna Curia nel 123099.

76Si è costretti dunque, soltanto a ipotizzare che il Delle Vigne abbia diretto la zecca durante qualche fase federiciana, in attesa che il documento giusto venga fuori.

Conclusioni

77Dal generale quadro storiografico preesistente, già emergeva senza alcun dubbio che Federico II avesse progressivamente dotato la piazza napoletana degli elementi che si confanno a una capitale, peraltro già abbozzati da Ruggero II, anche se la sedes Regni permaneva in Palermo100. Il progetto federiciano su Napoli si giovò della decisa accelerazione verificatasi a partire dall’insediamento di Pier delle Vigne (1220)101. Infatti, non possono risultare casuali : la riqualificazione delle principali istituzioni e la creazione di nuove, studium incluso, nella città102, nonché la collocazione in essa della sede del tesoro statale nel 1239103, dislocazione che, seppure spostata momentaneamente a Antrodoco per motivi di sicurezza, ebbe pianta stabile in Napoli, o al massimo tra Capua e Napoli, come conferma anche il tesoro del tempo di Manfredi104. Ormai il centro politico era partenopeo, altrimenti i tesori non sarebbero stati quivi custoditi, il tutto a discapito della Puglia stessa, spesso indicata come luogo principale del Regno, per la frequenza dell’imperatore, anche se il territorio manteneva comunque una certa importanza, tanto da crearsi un asse economico-monetario tra Napoli e Brindisi105.

78Non secondaria in questo senso fu l’abolizione dei privilegi di Tancredi, che svuotò Napoli dei suoi caratteri di civitas, che faticosamente aveva tentato di acquisire dai tempi della caduta del Ducato (1140). Non è quindi possibile incontrare moneta con i segni distintivi della città dopo il 1220, in quanto non poteva quivi istituzionalmente prodursi. La zecca poté produrre soltanto moneta imperiale (es. tarì, augustali, etc.) e/o moneta forestiera (es. miliarensi, tornesi, etc.).

79Pertanto, a far data dal 1220 in poi, Napoli patì uno svuotamento civico, a fronte di un accrescimento in qualità di capitale e di città del sovrano, mentre Palermo subì solo ed esclusivamente una deminutio, lampante a livello territoriale, poiché i nuovi assetti istituzionali, che resero la parte peninsulare autonoma in un unico corpo, già rappresentavano l’anticamera dei Vespri, quasi alle porte alla morte di Federico ; deminutio altrettanto evidente, sul piano simbolico, per l’assenza dell’imperatore.

80Stranamente, a Napoli, dal punto di vista storiografico, mancava solo la zecca, istituzione non individuata da nessuno studioso, salvo dal Capasso (doc. 5), che tuttavia preferì glissare sull’argomento, con tutte le perplessità del caso.

81Passi pure la mancata individuazione della zecca, che ancora una volta dimostra l’utilità che la ricerca può apportare alle conoscenze attuali, ma non può passare inosservato il gravissimo arginamento della ricerca, comportamento che si sta portando avanti al fine di evitare che si diffonda l’importante scoperta della zecca di Napoli al tempo di Federico II.

Notes go_to_top

1 Sia consentito rimandare all’unica pubblicazione esistente sulla zecca sveva di Napoli, per cui cfr. passim S. Perfetto, La zecca di Napoli al tempo di Federico II, Monete Antiche, 113, 2020, p. 27-46. In questo studio è stata già richiamata la principale bibliografia di natura numismatica, che ha completamente ignorato l’attività della zecca di Napoli in questo periodo. Pertanto, le lacune della predetta bibliografia non saranno nuovamente criticate in questa sede. Di seguito si aggiunge una piccola selezione di lavori, sfuggiti, o pubblicati quasi contemporaneamente al predetto. Anche questi, naturalmente, sono accomunati dall’assenza della zecca sveva di Napoli, per cui vanno letti con beneficio d’inventario, se non addirittura in maniera contraria a quanto scritto in certi passaggi: G. Tafuri - A. Podestà, Gli studi sui denari di biglione da Enrico VI di Hohenstaufen a Carlo I d’Angiò. Dalle origini ai nostri giorni, in Federico II. Le nozze di Occidente. L’età federiciana in terra di Brindisi Atti del Convegno di studi Brindisi Palazzo Granafei – Nervegna 8-9-14 novembre 2013, a cura di G. Marella - G. Carito, Brindisi, Società di Storia Patria per la Puglia, 2015, p. 81-91; A. M. Santoro, Nostrum fidelium officium sicle… Gli ufficiali delle zecche del regno angioino di Sicilia (sec. XIII-XIV), in In Périphéries financières angevines. Institutions et pratiques de l’administration de territores composites (XIIe-XVe siécle), a cura di S. Morelli, books.openedition.org-/efr/3560?lang=it, ècole française de Rome (ultima consultazione 14 febbraio 2022); G. Rinaldi, Il fondo numismatico della Società Napoletana di Storia Patria. La monetazione medievale, I, Roseto degli Abruzzi, Edizioni D’Andrea, 2020, p. 76-86 e tavv., p. 264-269; S. Locatelli, Objects for History: The Coins of South Italy, Sicily and Sarinia in the British Museum, in B. Cook, S. Locatelli, G. Sarcinelli, L. TravainiThe Italian Coins in the British Museum, Roseto degli Abruzzi, Edizioni D’Andrea, 2020, p. 32-33; nonché G. Sarcinelli, South Italy and Sicily the Hohenstaufen, in Cook, Locatelli, Sarcinelli, TravainiThe Italian Coins, p. 147-176.

2 Ci si scusa per i continui richiami alla mia recente bibliografia, ma non esistono altri studi su questi argomenti, per cui si rimanda a S. Perfetto, La zecca di Napoli al culmine del Ducato ‘normanno’, Rassegna del Centro di Cultura e Storia Amalfitana, 61-62, 2021, p. 63-91. In questo studio è presente anche l’aggiornamento delle sedi di zecca all’interno di Napoli (p. 91), da leggersi insieme all’ulteriore sede presso Castelnuovo, documentata in S. Perfetto, Inventario delle zecche inedite dell’Italia meridionale peninsulare (2016-2021) e la Regia Zecca in Castello Novo, Monete Antiche, 118, 2021, p. 42-43.

3 Si tratta di S. Perfetto, I fiorini di conio fiorentino battuti a Napoli tra XIII e XV secolo, Canterano, Aracne Editrice, 2021, che è l’unico studio sul punto.

4 Molti luoghi del castello furono adibiti a prigioni, specialmente i sotterranei. Tuttavia la nostra fonte parla di camera del Conte (Perfetto, Inventario, p. 43: «in dita camera dove era il dito conte»), per cui è più probabile che Luis Ram fosse detenuto in qualche camera del castello, allo stesso modo di alcuni personaggi illustri nel corso della storia, come riferisce R. Filangieri, Rassegna critica delle fonti per la storia di Castel Nuovo, parte II, Archivio Storico per le Province Napoletane, 24, 1938, p. 320-321.

5 Sintesi delle parti di privilegio di nostro interesse operata sulla trascrizione di B. Capasso, Il Pactum giurato dal duca Sergio ai Napoletani (1030 ?), Archivio Storico per le Province Napoletane, 9, 1884, p. 319-333; p. 710-742; p. 733-738.

6 V. G. Galasso, Napoli e il mare. Atti del Convegno Itinerari e centri urbani nel Mezzogiorno normanno-svevo, a cura di G. Musca, Bari 1993, p. 32.

7 Ad es., sui Fiorentini, cfr. M. Ascheri, I giuristi e Firenze, ‘mater omnis eloquentiae’: qualche spunto dal Tre al Quattrocento, in Diritto medievale e moderno. Problemi del processo, della cultura e delle fonti giuridiche, Rimini 1991, pp. 141-142 e S. Perfetto, I fiorini di conio fiorentino, op. cit., p. 44.

8 Tratto da C. Boissin, Compendio della valuta del fiorino, in Ph. Argelatus, De monetis Italiae variorum illustrium virorum dissertationes, Quarta pars, Mediolani, In Regia Curia in Aedibus Palatinis, 1752, p. 115.

9 Cfr. P. Argelatus, De monetis Italiae, op. cit., p. 342.

10 La notizia è comunque stata presa in debita considerazione sia da A. Di Meo, Annali critico-diplomatici del Regno di Napoli della mezzana età, In Napoli, Nella Stamperia Orsiniana, 1810 (p. 400); sia da F. Tomeo, Cenno storico sul Grande Archivio di Napoli, Napoli, Per Gaetano Ferraro, 1833 (p. 4). Successivamente, però, è stata evidentemente dimenticata dagli studiosi e dai numismatici.

11 Se fosse così, il riferimento riguarderebbe l’amministratore della nuova sede di zecca di Castel Capuano (Francesco Formica, fiorentino, o un suo successore). Su questa zecca, che sarebbe stata soppressa in pochi anni, lasciando spazio a quella tradizionale, v. A. M. Santoro, Circolazione monetaria ed economia a Salerno nei secoli XIII e XIV, Borgo San Lorenzo (FI), All’Insegna del Giglio, 2011, p. 29-38.

12 Da Boissin, Compendio, op. cit., solo per citare alcuni esempi, v. rispettivamente p. 90, p. 97, p. 79.

13 Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale (d’ora in poi BNCF), Palatino 988, vol. I, Dalle scritture delle Riformagioni e BNCF, Palatino 988, vol. II, Zibaldone di Scipione Ammirato estratto dalle Riformagioni di Firenze. Preliminarmente bisogna dire che si dovrebbe invertire la numerazione dei volumi, poiché il secondo contiene i regesti dei provvedimenti più antichi (XII sec.–XVI sec.), mentre il primo (XII sec.–XVI sec.), si occupa prettamente di quelli del XV secolo, anche se globalmente copre lo stesso periodo dell’altro volume e contiene vari regesti di pergamene risalenti al tempo di Federico II, ma riguardanti i conti Guidi. Inoltre, il volume secondo, quello di nostro maggior interesse, presenta molte notizie sparse riferibili all’anno 1200. L’Ammirato stesso sembra avergli conferito il titolo integrale, che giustificherebbe un’inversione di numerazione.

14 In ogni caso, ho provveduto a controllare anche altre opere dell’Ammirato potenzialmente attinenti l’argomento (S. Ammirato, Delle famiglie nobili napoletane, vol. 1, Firenze, appresso Giorgio Marescotti, 1580; S. Ammirato, Dell’istorie fiorentine, vol. 1, Firenze, Nella Stamperia di Filippo Giunti, 1600; S. Ammirato, Delle famiglie nobili fiorentine, Firenze, Appresso Gio. Donato e Bernardino Giunti, 1615; S. Ammirato, Dell’istorie fiorentine, vol. 2, Firenze, Nella Stamperia Nuova d’Amador Maffi e Lorenzo Landi, 1641; S. Ammirato, Delle famiglie nobili napoletane, vol. 2, Firenze, Per Amadore Maffi da Furlì, 1651), ma non sono emersi elementi relativi alla fonte del caso.

15 Sul punto v. G. Galasso, Le città campane nell’Alto Medioevo, Archivio Storico per le Province Napoletane, 78, 1960, II parte, p. 21-22.

16 Cfr. U. Monneret De Villard, L’organizzazione industriale nell’Italia longobarda durante l’alto medioevo, Archivio Storico Lombardo, serie 5, fasc. 1-2, 1919, p. 16-17 («L’aurefix insomma diventa l’unico lavoratore dei metalli preziosi e probabilmente è anche monetarius»). Dopo questa evoluzione si diffuse il magister.

17 Cfr. Riccardo San Germano, Chronica, ed. G. Garufi, in R.I.S., nuova edizione, 7/2, Bologna 1937, p. 88.

18 Si tratta di Guglielmo II d’Altavilla, terzogenito maschio di Guglielmo I († 1189). Ibid., p. 92.

19 Da ibid., p. 4.

20 Sullo ‘sgravio’ esplicito del rame, rispetto all’oro e all’argento, si avrà maggiore consapevolezza in epoca moderna.

21 Cfr. L. Bianchini, Della Storia delle Finanze del Regno di Napoli, Terza ed. riveduta e accresciuta, Napoli, Dalla Stamperia Reale, 1859, p. 41.

22 N. Cilento, Città e Regno nel Medio Evo meridionale, Salerno 1982, p. 146.

23 Questo luogo, simbolo di potere, fu molto ambito. Infatti, fu subito occupato nel giugno 1253, niente meno che da papa Innocenzo IV, dopo che il cancelliere e Federico, l’uno dopo l’altro, morirono (1249-1250). Lo stesso papa venne a mancare «in palatio olim Petri de Vineis, anno Domini [1254], mensis Decembris die septima intrante», dopo un anno di permanenza in loco. Tratto da Bernardi Guidonis et aliorum, Vitae Pontif. Romanorum, in L. A. Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, III, Mediolani, Ex Typographia Societatis Palatinae in Regia Curia, 1723, p. 592, cap. XLIII, De obitu Domini Papae.

24 Nella versione di G. M. Monti, La zecca di Napoli sotto Giovanna Ia d’Angiò, Bollettino del Circolo Numismatico Napoletano, fasc. I-II, 1925, p. 44, c’è il punto, ma è evidente che siano opportuni i due punti.

25 Tratto da G. M. Monti, La zecca di Napoli, op. cit., pp. 44-46.

26 Non è dato sapere come mai l’autore ometta di citare i siclarii della zecca di Messina, che avevano identici privilegi a quelli di Brindisi.

27 Cfr. S. Perfetto, La zecca di Napoli al tempo, op. cit., p. 43.

28 Cfr. A. Cappelli, Cronologia Cronografia e Calendario perpetuo, Milano 1930, VII ed., a cura di M. Viganò, Milano, Editore Ulrico Hoepli, 1998, p. 323. Gregorio IX scomunica Federico II il 29 settembre 1227.

29 V. L. Travaini, Produzione e distribuzione dei denari svevi e angioini nel regno di Sicilia alla luce dei rinvenimenti, in Settlement and Economy in Italy 1500 BC-AD 1500: Papers of the Fifth Conference of Italian Archaeology, a cura di N. Christie, Oxford 1995 (p. 607). Infatti, in questo momento la zecca di Brindisi fu riorganizzata.

30 Tratto da B. Capasso, Sulla Casa di Pietro della Vigna in Napoli, Rendiconto dell’Accademia Pontaniana, 7, 1859, p. 198-199, nt 1. Il contributo del Capasso fu versato in G. De Blasiis 1860, Della vita e delle opere di Pietro della Vigna, Napoli, Stabilimento Tipografico dell’Ancora, 1860, p. 275-284. L’importante scoperta aveva comportato modifiche anche nell’opera del Camera. V. la differenza tra M. Camera, Annali delle Due Sicilie, I, Napoli, Dalla Stamperia e Cartiere del Fibreno, 1841, p. 221-222 e M. Camera, Annali delle Due Sicilie, I, Napoli, Dalla Stamperia e Cartiere del Fibreno, 1860, p. 170.

31 Qualche anno dopo, il documento fu pubblicato anche dal suo vero scopritore (cfr. C. Minieri-Riccio, Studi storici su fascicoli angioini dell’Archivio della Regia Zecca di Napoli, Napoli, Presso Alberto Dekten, 1863, p. 28).

32 Il documento, di epoca angioina, è stato redatto da un menante che ben sapeva che il Palazzo era stato recuperato da Federico de’ Fieschi nel 1276, che lo aveva ricevuto per testamento da Papa Adriano V. Quella dei Fieschi fu una potente famiglia, distintasi al tempo di Federico II, e non sfuggita, in qualità di ingombrante presenza al fianco del giurista marsigliese Alberto da Lavagna, a P. Maffei, Le prerogative fiscali del re d’Aragona nel Tractatus super materia munerum (c. 1277) di Alberto Lavagna, Rivista Internazionale di Diritto Comune, 30, 2019, p. 141. Esiste forse la possibilità di un trait d’union tra il giurista, i Fieschi e il Chartularium di Marsiglia degli stessi anni (v. § 11), anche perché il frammento che si sta commentando nel testo è stato collazionato in un conto di otto anni successivo alla morte di Carlo I, per motivi contabili, ma è riferibile proprio al suo regno.

33 Cfr. B. Capasso, Sulla Casa di Pietro, op. cit., p. 198.

34 Cfr. ibid., p. 200. La sede di zecca, un tempo del giudice capuano, riproponeva il problema delle esazioni nella fase successiva all’epoca federiciana, in quanto l’immobile, quando fu in potere del papa, dové essere esente, grazie a l’immunité de iure communi, accordata dallo stesso Federico II (cfr. M. Ascheri, Le cadastre comme source de problèmes pour les juristes de droit commun: quelques aspects du XIIIe au XVIe siècle, in De l’estime au cadastre en Europe. Le Moyen Âge, a cura di A. Rigaudiere, books.openedition.org/-igpde/11847, p. 33-34), e probabilmente lo fu anche all’epoca del Fieschi, che lo aveva ricevuto iure pontificis testamenti, aspetto che forse ne determinò lo spostamento definitivo nel 1325 in un immobile privato (fig. 1).

35 Tratto da S. Fusco, Dissertazione su di una moneta del re Ruggeri detta ducato, Napoli, Nella Stamperia Reale, 1812, p. 51, nt 2; ma riportato anche da B. Capasso, Sulla Casa di Pietro, op. cit., p. 200. V. in ogni caso ulteriori commenti critici in S. Perfetto, La zecca di Napoli, op. cit., p. 33-34.

36 M. Fuiano, Napoli normanna e sveva, in Storia di Napoli, II, 1, a cura di E. Pontieri, Napoli 1969, pp. 474 ss.

37 Cfr. Riccardo San Germano, Chronica, p. 161.

38 Tratto da G. Garufi, Ryccardi de Sancto Germano Chronica, in Rerum Italicarum Scriptores, nuova edizione, 7. 2, Bologna, 1937, p. 246.

39 La trascrizione dell’opera è stata ultimata da V. Formentin, Ricordi: edizione critica del ms. Ital. 913 della Bibliotheque de France di Loise de Rosa, 2 voll., Roma/Salerno, 1998.

40 Di Loise de Rosa, attraverso un privilegio della cancelleria aragonese di Alfonso il Magnanimo, è stato recentemente precisato il suo alto livello a Corte e nella zecca, status che in precedenza non gli era stato adeguatamente riconosciuto, a cominciare da B. Croce, Sentendo parlare un vecchio napoletano del Quattrocento, Archivio Storico per le Province Napoletane, 28, 1913, p. 268, in quanto la valutazione del personaggio si basava precipuamente sull’italiano dei Ricordi. Sulle qualità del De Rosa si rimanda a S. Perfetto, « Loise de Rosa, custode « assagii » della zecca di Napoli, dal tempo di Ladislao di Durazzo a quello di don Ferrante », Aragón en la Edad Media, 31, 2020, pp. 209-226.

41 Il riferimento è allo sbarco a Brindisi, di ritorno dalla sesta crociata (1228-1229). Qui andrebbe inserito il passo di Ryccardi de Sancto Germano, Chronica, p. 161, riportato al doc. 5, per poi proseguire la lettura del testo del De Rosa. Per un quadro storico ben sintetizzato, si riporta un passo del Tritemio da Biblioteca Apostolica Vaticana (d’ora in poi BAV), Palatino Latino 929, Chronicon insigne monasterii Hirsaugensis ordinis S. Benedicti Sponheim, 1495-1503, f. 198v : «Anno Everhardi abbatis xiij dominice autem nativitatis Mill. CCXXIX civitas sancta Hierusalem cum quibusdam castellis per Fridericum imperatorem secundum sub certis condicionibus a Soldano Egyptorum sine omni congressu aut sanguinis effusione recuperata est et in manibus Christianorum denuo tradita. Ipse autem imperator Fridericus in dominica Letare Hierusalem coronatus intravit, factisque cum Saracenis treugis per decennium altera die ad naves profectus in terram suam reversus est. Cum autem Siciliam intrasset reperit multa o[p]pida castella et municiones ad partes Pape declinasse que omnia in manu Theutonitorum valida recuperans quedam ex eis funditus evertit et ex eo tempore graves inter ipsum et Papam inimicitie facte sunt». Versione leggermente differente in Joannis Tritemius, Chronicon insigne monasterii Hirsaugensis ordinis S. Benedicti, Basilee, Apud Iacobum Parcum, 1559, p. 252.

42 Questo passo dei Ricordi è tratto da Formentin, Ricordi, II, op. cit., p. 599, f. 34v.

43 Cfr. S. Perfetto, La zecca di Napoli, op. cit., p. 37-39.

44 Cfr. ancora V. Formentin, Ricordi, II, op. cit., p. 600, ff. 34v-35r.

45 Solo il generico ‘eris’ di Riccardo San Germano, Chronica, p. 161 (qui doc. 5) poteva lasciar pensare alla coniazione di tutti e tre i metalli, ma sarebbe rimasto un dato isolato, non sufficiente per il tornese.

46 V. L. Travaini, « Deniers Tournois in South Italy », in The Gros Tournois. Proceedings of the Fourteenth Oxford Symposium on Coinage and Monetary History, Oxford 1997, p. 440-444.

47 Si rimanda a S. Perfetto, « Gli ultimi tornesi del Regno di Napoli al mismo cuño del antiguo (1536-1542) », Rivista Italiana di Numismatica e Scienze Affini, 119, 2018, pp. 179-198, nonché a S. Perfetto, I fiorini di conio fiorentino, op. cit., p. 9 e p. 59.

48 Si tratta dell’ordine diretto di Gesù Cristo di cui si parla in Chronica cit., p. 159: « et dum de restitutione tractaretur Terre sancte, dominus Iesus Christus, qui est sapientia Patris, sua solita providentia sic ordinavit, quod Soldanus restituit sanctam Iherusalem ipsi Imperatori, et christianis cum omnibus tenimentis suis ». Per un breve commento sul miracolo connesso al racconto del de Rosa v. S. Perfetto, La zecca di Napoli al tempo, pp. 38-39.

49 Per una prima individuazione del tornese federiciano v. ancora una volta S. Perfetto, La zecca di Napoli al tempo, op. cit., p. 40.

50 Joannis Trithemij, Annalium Hirsavgiensium, I, Monasterij S. Galli, Typis ejusdem Monasterij S. Galli, 1690.

51 Molte parti del Chronicon Hirsaugense sono riportate negli Annales, che rappresentano praticamente un Chronicon accresciuto (quest’ultimo, come visto, si trova in BAV, Palatino Latino 929, Chronicon insigne monasterii Hirsaugensis ordinis S. Benedicti Sponheim, 1495-1503).

52 Cfr. S. Perfetto, « L'oro trasportato a Grottaferrata per servigio dell’imperatore Federico II (1241-1242) », in Monete Antiche, 76 (2014), pp. 35-39.

53 Tratto da Joannis Trithemij, Tomus Primus Annalium Hirsavgiensium, Monasterij S. Galli, Typis ejusdem Monasterij S. Galli, 1690, p. 541. L’anno di riferimento si evince dalla pagina precedente (p. 540) ed è espresso in numero romano (MCCXXIX).

54 Cfr. S. Perfetto, La zecca di Napoli, op. cit., p. 37.

55 La notizia si trova anche in A. Huillard - Bréholles, Vie et correspondance de Pierre de La Vigne, ministre de l’empereur Frédéric II, Paris, Henri Plon Imprimeur-Éditeur, 1864 p. 65, con la consueta lacuna storiografica che omette di fare il nome del luogo di coniazione (Napoli): «Pierre lui conseilla de dépouiller les églises de leurs vases sacrés puor les fondre et en faire de la monnaie».

56 Generalmente la coniazione di moneta imperiale, per essere distribuita nel Regno, era affidata alle due zecche di Brindisi e Messina (cfr. L. Travaini, Produzione e distribuzione), mentre a Napoli si coniava principalmente moneta straniera, ma ovviamente nei momenti di presenza dell’imperatore o del suo cancelliere, la zecca poteva emettere anche moneta imperiale. Il fatto storico principale a cui si ispira questa dinamica fu la coniazione del ducale di Ruggero II a Napoli nel 1140, moneta che porta i titoli del sovrano (cfr. S. Perfetto, La zecca di Napoli al culmine, op. cit., § 3, p. 78 e ss.), a seguito della quale riprese la tradizionale coniazione imitativo-forestiera, come i testi di numismatica, spogli su Napoli, dimostrano.

57 Da Riccardo San Germano, Chronica, p. 176.

58 Cfr. Epistola Joannis Trithemii, in Joannis Trithemij, Annalium Hirsavgiensium, doc. A-A2. Secondo M. Pereira, « Costruire la memoria: Tritemio lettore di Ildegarda di Bingen », in Fructibus construere folia, a cura di G. Garelli, A. Ridolfi, Firenze, Società Editrice Fiorentina, 2020, p. 204, l’opera fu interamente stesa a Würzburg.

59 Per le date di nascita e morte del Tritemio e per un sintetico ragguaglio su Chronicon e Annales v. P. Orsi, « L’anno mille », Rivista Storica Italiana, 4, 1887, p. 52, nt. 1.

60 Cfr. BNCF, Palatino 988, vol. I, Dalle scritture delle Riformagioni, f. 268r; nonché G. Müller, Documenti sulle relazioni delle città toscane coll’Oriente cristiano e coi Turchi fino all’anno MDXXXI, In Firenze, Coi Tipi di M. Cellini e C., 1879, p. LIII.

61 V. A. Feniello, Il “portus Pisanorum” e il nuovo porto angioino, Bollettino Storico Pisano, 64, 1995, pp. 225-232.

62 Cfr. S. Perfetto, La zecca di Napoli al culmine, op. cit., § 2, p. 70 e ss.

63 Cfr. A. Feniello, Il “portus Pisanorum”, op. cit., p. 225.

64 Trascrizione di SNSP, XXVII, b. 17, Catasto di S. Pietro a Castello, ff. 48-49.

65 Per il confronto dei documenti v. più ampiamente SNSP, XXVII, b. 17, Catasto di S. Pietro a Castello, ff. 46-50.

66 Si ricordano di nuovo Monneret De Villard, L’organizzazione industriale, op. cit., p. 16-17 e G. Galasso, Le città campane, op. cit., p. 21-22.

67 Varie indicazioni sugli ufficiali della zecca al tempo di Carlo II si trovano in M. Camera, Annali delle Due Sicilie, op. cit., II, p. 169.

68 Napoli, Archivio di Stato di Napoli (d’ora in poi ASNa), Cancelleria angioina, Sicle Neapolis pro Nicolao Castagnola, reg. 351 (olim 1346 A), c. 53 ter a-b, trascritto in Monti, La zecca di Napoli, op. cit., p. 46-49. Alla fine del documento (p. 49) c’è un errore di trascrizione o un errore del cancelliere, in quanto la versione del Monti reca l’anno « MCCCLVI », ma grazie all’anno del registro che lo stesso autore indica (p. 44, nt 1), alla « XIIII jndictionis » e al « Regnorum nostrorum anno III », non può che trattarsi del 1346.

69 Esempi celebri sono quelli dei Cotrugli, che annoverano almeno tre maestri della zecca di Napoli nella loro famiglia, i Miroballo, i Tagliamilo, nell’ufficio della prova, etc.

70 Sulla moneta lucchese fatta coniare per i Pisani in periodo ducale si rimanda a S. Perfetto, La zecca di Napoli al culmine, op. cit., § 2, p. 67-68. Questi mercanti toscani già battevano moneta a Napoli dai tempi di Ruggero II, avendone avuto signoria per svariati anni sul finire del Ducato.

71 Cfr. A. Feniello, Napoli 1343 : le origini medievali di un sistema criminale, Milano, Mondadori, 2015, anteprima https://www.google.it/books (ultima consultazione 14 febbraio 2022), priva di numerazione delle pagine.

72 Cfr. E. Kantorowicz, Federico II, imperatore, Milano, Garzanti, 1978, p. 519. Sulla stessa linea A. J. Sambon, Sulle monete delle provincie meridionali d’Italia dal XII al XV secolo, s.l. 1916, Edizione anastatica a cura di L. Lombardi, Terlizzi, Biblionumis, 2015, p. 100.

73 V. Riccardo San Germano, Chronica, op. cit., p. 199.

74 Tratto da E. Winkelmann, Acta Imperii Inedita, I, Innsbruck, Verlag der Wagner’Schen Universitäts-Buchhandlung, 1880, doc. 822, p. 637.

75 In J. Sambon, Sulle monete delle provincie meridionali, op. cit., p. 100, si può notare infatti che l’ordine era pervenuto a Napoli, dove era rimasto e dove si effettuarono le prime coniazioni, mentre le date relative a Brindisi e a Messina rimontano rispettivamente al 1239 e del 1240, un po’ troppo tardi per chi aveva fretta di far battere moneta (v. infra nel testo).

76 Cfr. S. Fodale, Morra, Enrico de, Dizionario Biografico degli Italiani, 77, 2012, https://www.treccani.it/enciclopedia/enrico-de-morra (consultato il 15 febbraio 2022).

77 M. Fuiano, Napoli normanna e sveva, op. cit., p. 476.

78 Ibid.

79 La forma anonima che la caratterizzava nell’anno 1200 è confermata anche dal doc. 2 (siclae magister).

80 L’esempio più eclatante è quello dei fiorini di Firenze (ancora una volta v. passim S. Perfetto, I fiorini di conio fiorentino cit.).

81 Per tale ragione, non può essere condivisibile neanche l’interpretazione di G.A. Garufi, « Monete e conii nella storia del diritto siculo », Archivio Storico Siciliano, 23, 1898, p. 136, che intende il singolare termine ‘sicla’, come identificante tutte le zecche del Regno di Sicilia.

82 Cfr. S. Perfetto, La zecca di Napoli al culmine, op. cit., fig. 2, p. 89 : prospetto provvisorio delle monete esterne italiane battute a Napoli (1134-1496).

83 Fonte piuttosto ostica anche per Ph. Grierson, L. Travaini, Medieval European Coinage. 14. Italy. III. South Italy, Sicily, Sardinia, Cambridge 1998, p. 182 ; nonché per L. Travaini, « La terza faccia della moneta. Note per lo studio dell’iconografia monetale medievale », Quaderni Medievali del Bollettino Storico-Bibliografico Subalpino, 52-I, 2001, pp. 108-109, studi dove l’inciso « formam … mittimus vobis presentibus interclusam » viene abbinato all’inciso « Sub quibus autem ymaginibus hec nova pecunia cudi debeat… », attribuendo alla parte diplomatica del documento il significato della forma della moneta da coniare. Al contrario, si tratta di un formulario usato presso i Papi, in Sicilia, sotto Federico II, presso imperatori più antichi, sotto gli Aragonesi, etc. Ad es. da varie opere in cui si trascrivono documenti del periodo, si legge : « cujus formam quoad citationis articulum vobis praesentibus interclusam», oppure «formam continentes, quam vobis mittimus presentibus interclusam », oppure « formam procuratorij quam vobis mittimus presentibus interclusam », sempre usate in circostanze prive di moneta, il che ne dimostra il contenuto diplomatico relativo a qualsiasi argomento. Non sbaglia invece J. Sambon, Sulle monete delle provincie meridionali, op. cit., pp. 99-100, che esclude la parte diplomatica dal concetto di nuova moneta.

84 Contrariamente a quanto ritenuto negli studi di Abulafia, la fonte dimostra ancora una volta che il flusso di denari imperiali andava da sud a nord e non il contrario.

85 J. Sambon, « Deniers Siciliens de Billon pendant le XIIe et le XIIIe siècle », Annuaire de la Société Française de Numismatique, Janvier-Février 1896, p. 213. V. Winkelmann, Acta Imperii Inedita, op. cit., I, doc. 1002, pp. 763-765. Il Chartularium riguarda però soltanto le monete con effigie di Federico II e non quelle ‘da mercanzia’ non riconoscibili.

86 Gennaio 1239 e maggio 1240.

87 Che gli ordini fossero partiti da Napoli, lo attesta la presenza del registro di Federico II degli anni 1239-1240, nel quale sono presenti le prescrizioni per le altre due zecche. Il registro è oggi trascritto da C. Carbonetti Vendittelli, Il registro della cancelleria di Federico II del 1239-1240, 2 voll., Roma, Nella sede dell’Istituto, 2002.

88 Cfr. P. Grillo, « Velut leena rugiens. Brescia assediata da Federico II (luglio-ottobre 1238)  », Reti Medievali Rivista, 8, 2007, p. 11.

89 Tratto da Riccardo San Germano, Chronica, op. cit., p. 197.

90 Tratto da L. Travaini, La terza faccia della moneta, op. cit., p. 108.

91 Riccardo San Germano, Chronica, op. cit., p. 197.

92 Sul punto v. S. Perfetto, La prova del metallo. L’esperienza di Vincenzo Porzio nella zecca di Napoli (1555-1587), Ariccia, Aracne Editrice, p. 19-57.

93 Tratto da G. Lami, Sanctae ecclesiae florentinae monumenta, I, Firenze, Ex Typographio Deiparae ab Angelo Salutatae, 1758, p. 493 ; ma v. pure da G. Lami, Novelle letterarie, XIII, Firenze, Nella Stamperia Imperiale, 1752, p. 370.

94 Il miliarese corrispondeva a un cinquantesimo di bisante d’oro, moneta equivalente a 0,8 fiorini d’oro. Il fiorino sarebbe stato introdotto poco dopo l’avventura federiciana ; 112 miliaresi d’argento equivalevano a una libbra di Firenze ; cfr. H. Hoshino, « I mercanti fiorentini ad Alessandria d’Egitto nella seconda metà del Trecento », in Industria tessile e commercio internazionale nella Firenze de tardo medioevo, a cura di F. Franceschi, S. Tognetti, Firenze, Leo S. Olschki Editore, 2001, p. 112.

95 V. passim S. Perfetto, I fiorini di conio fiorentino, op. cit. e S. Perfetto, La zecca di Napoli al culmine, op. cit..

96 Nel settembre 1453, un Cola Davanço mette 47 libbre, 11 once e due quarti d’argento nella zecca di Napoli, oltre a compiere altre operazioni simili in zecca. Cfr. Barcelona, Archivo de la Corona de Aragón (d’ora in poi ACAr), Real Patrimonio de Cataluña, Maestre Racional, Volúmenes, Serie General, 2011, Llibre de Comptes de la ceca de Nàpols, de Francisco Singniere, maestre de la ceca, (Napoli, 22/2/1453-31/8/1454), ff. 1r-60r: 28v-29r. Il registro, parzialmente compilato in partita doppia, è stato integralmente trascritto in S. Perfetto, La unitat monetària de les Dues Sicílies pel català Francesc Ximenis. La magistratura de la seca i el Llibre de Comptes de la seca de Nàpols (1453-1454), Amb la col·laboració de la Societat Catalana d'Estudis Numismàtics (Institut d'Estudis Catalans), Ariccia (RM), Ermes, 2015, p. 172-244.

97 Molti esempi sui titoli del Delle Vigne si trovano in G. Jannelli, Pietro della Vigna di Capua, Caserta, Stab. Tip. del Comm. G. Nobile e C., 1886, p. 185-191.

98 Nel 1301 era ancora ricordato come magister : « Hortus domini Friderici de Flisco, qui fuit olim magistri Petri de Vineis, intus hanc Capuanam civitatem in parochia S. Mariae de Reclusis ». Tratto da T. Rymer, Foedera, Conventiones, Literae et cujuscunque generis acta publica inter reges Angliae, t. 1, Londini, Per J. Tonson, 1727, p. 339 ; ma v. pure A. Huillard–Bréholles, La correspondance et le role politique de Pierre de la Vigne, Paris, Henri Plon imprimeur-éditeur, 1865, p. 64 ; nonché C. Jannelli, Pietro della Vigna, op. cit., p. 218. Quest’ultimo autore, sentitosi scippato della scoperta del documento che aveva presentato all’Accademia Pontaniana, ne rimarcò la paterna scoperta rispetto a Huillard–Bréholles.

99 Cfr. S. Fodale, Morra, op. cit.

100 Cfr. S. Fodale, « Palermo « sedes Regni » e città di Federico II », in Federico II e le città italiane, a cura di P. Toubert, A. Paravicini Bagliani, Palermo, Sellerio Editore, 1994, p. 212.

101 Cfr. A. Parlato, Federico II a Napoli, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1999, p. 119-121.

102 Cfr. ibid., pp. 64 ss.

103 T. Kölzer, « Magna imperialis curia », in Federico II e il Mediterraneo, a cura di P. Toubert, A. Paravicini Bagliani, Palermo, Sellerio Editore, 1994, p. 77.

104 G. Villani, Cronica, Lib. VII, anno 1265.

105 Si rimanda alla cartina fig. 1, p. 31, di S. Perfetto, La zecca di Napoli al tempo, op. cit.



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Simonluca Perfetto, « Primo nucleo di fonti sulla zecca sveva di Napoli », Mémoire des princes angevins 2022-2023, 15  | mis en ligne le 31/12/2023  | consulté le 08/10/2024  | URL : https://mpa.univ-st-etienne.fr:443/index.php?id=566.